Pianista di gran classe, musicista solitario, curioso, apolide ma mai dimentico delle proprie radici,  battagliero ma anche discontinuo, capace di proiettarsi alla ribalta con pionieristiche imprese, eclatanti exploits ma pronto anche a defilarsi del tutto con fughe orgogliose, ostinati silenzi e prolungate assenze dalle scene. In breve si potrebbe delineare così il profilo di Alfonso Rendano, esponente alquanto trascurato di quella generazione italiana di metà Ottocento cui toccò il difficile compito di ricucire le distanze tra il “paese del melodramma” e la cultura classico-romantica europea. Nato nel 1853 a Carolei, a pochi chilometri da Cosenza, e morto a Roma nel 1931, Rendano aveva messo in mostra un talento precoce.

Le composizioni qui registrate, eseguite dalla pianista Daniela Roma e dal Quartetto Modus e presentate nel ricco booklet da Pier Paolo De Martino ci consegnano un doppio ritratto di Rendano ai suoi esordi, capace di muoversi come compositore su registri diversi. Le tre valses, risalenti ai primi anni Settanta, pur nel loro carattere differenziato, ci restituiscono il volto del giovane pianista-compositore pienamente inserito nel costume del proprio tempo.

Tutt’altro versante quello su cui si muove il Quintetto in la minore per pianoforte e archi che, insieme al Concerto per pianoforte e orchestra, costituisce il frutto compositivo più impegnativo degli anni giovanili di Rendano: non a caso le due opere vennero presentate da loro autore come “biglietto da visita” in uno dei momenti più importanti della sua carriera: l’incontro con Liszt e le esibizioni alla corte granducale di Weimar, nel 1880.

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