Le affinità e le sintonie tra musiche diverse si giocano su molti piani, sia interni che esterni alle opere: lo stile, le circostanze o le modalità sociali dentro le quali si sono generate, il tipo di ascolto a cui sono abitualmente sottoposte o i mestieri che concorrono a realizzarle. Dall’estetica alla sociologia, dalla psicologia all’etnologia, molti discorsi provano a dirci qualcosa su apparentamenti ed estraneità musicali.

L’esercizio della Storia della Musica, sebbene si svolga sul terreno apparentemente ordinato delle cronologie, si traduce spesso in spiegazioni che restano al di qua delle opere musicali: in ogni momento del passato storico sono ‘accadute’ musiche talmente diverse tra loro che nessuna storiografia potrà mai illuminarne un senso condiviso.

All’inverso accade pure che opere lontanissime nel tempo si incontrino, non per prossimità di lingua ma, per così dire, dentro un comune orizzonte emotivo: è un modo di operare in quella complessa segnaletica espressiva a cui il Seicento italiano dette il nome di teoria degli affetti e che oggi rigenera un altrettanto complesso modo di suonare, una prassi esecutiva.

Alle Guerre d’Amore fu proposto così a Gianvincenzo Cresta, confidando in eguale misura sulla maestria e sul sentire comune, sulla duttilità del suo procedere di compositore e, appunto, sugli affetti che si animano nella sua musica. Il bello della sfida è che, senza supporti di programmi o manifesti estetici, non si fa alcun appello se non all’opera e a chi la fa suonare.

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Artisti / GIANVINCENZO CRESTA